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Presentata alla Commissione Regionale il Piano sociale e sanitario regionale 2017-2019

pubblicato il 31/05/2017 10:06, ultima modifica 31/05/2017 10:06
Obiettivo è quello di affrontare gli scenari che attendono l'Emilia-Romagna: popolazione con una crescita molto contenuta, sempre più anziana e multiculturale. Uno strumento per rispondere ai nuovi bisogni sociali, contrastare esclusione, povertà e fragilità e fornire servizi più vicini ai cittadini. Tra le azioni messe in campo: reddito di solidarietà, nuove Case della salute, sviluppo dei Distretti socio-sanitari

Bologna - Lotta all’esclusione, alla fragilità e alla povertà. Nuovi strumenti per fornire servizi sempre più “integrati” e più vicini ai cittadini. Sono questi, in estrema sintesi, gli obiettivi del nuovo Piano sociale e sanitario dell’Emilia-Romagna per il triennio 2017-2019: approvato dalla Giunta regionale nei giorni scorsi, è stato presentato oggi in Commissione consiliare, alla presenza di Elisabetta Gualmini, vicepresidente della Regione e assessore alle Politiche di welfare, e Sergio Venturi, assessore alle Politiche per la salute. All’inizio della settimana prossima ci sarà l’udienza conoscitiva e poi la discussione del documento in Commissione.

“Il Piano costituisce il più importante documento di programmazione politica nel settore sanitario e sociale- ha sottolineato Gualmini-. Siamo contenti di aver discusso in maniera molto partecipata i punti fondamentali su cui si regge l’intero documento: l’integrazione reale, non finta, tra il sociale e il sanitario, il ruolo essenziale dei distretti e del direttore socio-sanitario e, infine, tutte le nuove strategie sulla lotta alla fragilità. Da qui in avanti, i Comuni avranno una cornice rinnovata e al passo con le trasformazioni che abbiamo osservato nelle nostre società, dove dar vita alle loro iniziative e ai loro interventi. Se c’è un obiettivo del Piano che tutti condividono è il benessere a 360 gradi di ogni persona delle nostre comunità”.

Un Piano, dunque, che prenderà il posto del precedente, pensato e scritto nel 2008, quando ancora la più grande crisi economica e sociale dal secondo dopoguerra non aveva dispiegato i propri effetti. Aggiornato negli anni successivi con l’obiettivo di ricalibrare gli interventi a vantaggio dei soggetti più vulnerabili, in primo luogo minori e adolescenti, il Piano definisce gli strumenti necessari ad affrontare i nuovi bisogni e le profonde trasformazioni in atto nella società, scommettendo sull’integrazione tra sanità e welfare. Il documento, che offre anche una fotografia aggiornata dell’Emilia-Romagna, a partire dalla sua composizione demografica e sociale, è frutto di un percorso ampio e articolato, che ha coinvolto enti locali e Aziende sanitarie, Terzo settore, associazionismo e organizzazioni sindacali, oltre agli organismi politici competenti.

Gli obiettivi strategici e gli strumenti del nuovo Piano
Il primo obiettivo è la lotta all’esclusione
, alla fragilità e alla povertà. Da realizzare attraverso tre strumenti, nuovi e sperimentati a partire da questo mandato: la legge regionale sull’inclusione socio-lavorativa (14/2015), la legge regionale sul Res, il Reddito di solidarietà (24/2016) e l’attuazione del Sostegno per l’inclusione attiva (Sia) introdotto dal Governo. Saranno questi i tre “pilastri” di un nuovo modo di concepire i servizi, far operare il personale e costruire relazioni con gli utenti. Tratto comune sarà la presenza di équipe multi-professionali chiamate a lavorare insieme, a prendere in carico e a rispondere con servizi unificati e progetti condivisi.

Come secondo obiettivo viene confermato il Distretto quale snodo strategico e punto nevralgico per realizzare ed erogare in modo ancora più integrato i servizi sanitari, sociali e socio-sanitari. Per Distretto, concretamente, si intende l’ambito territoriale, in senso lato, sul quale orientare la lettura dei bisogni e delle risorse e la programmazione degli interventi. Oltre all’Azienda, ne fanno parte i Comuni o le Unioni. Circa la metà dei Distretti regionali sono caratterizzati dalla presenza di Unioni della stessa estensione: questo è un patrimonio peculiare – nel panorama nazionale – dell’Emilia-Romagna, che le incentiva con una legge specifica e strumenti di settore. Viene confermata la governance pubblica, a partire dalla programmazione, al fine di garantire l’equità nell’accesso dei servizi e il controllo dei livelli di qualità; e, per il futuro, si punta a far coincidere l’ambito del Distretto con l’ambito di esercizio associato nell’Unione dei Comuni.

Il terzo obiettivo è far nascere e sviluppare strumenti nuovi,integrativi rispetto ai servizi sanitari e sociali, avvicinandoli sempre più ai cittadini. Un esempio concreto, già presente sul territorio, sono le Case della Salute, modello fondamentale che si vuole estendere a tutto il territorio regionale per garantire l’accesso, la presa in carico integrata, la continuità ospedale-territorio. Una caratteristica di questo Piano è la realizzazione di interventi e politiche “trasversali” per i cittadini: ad esempio la riduzione delle diseguaglianze, la promozione della salute e dell’autonomia delle persone, la qualificazione dei servizi, l’erogazione di prestazioni più vicine al domicilio. Senza rinunciare a investimenti specifici, che rimarranno, come quelli ad esempio destinati alla non autosufficienza, al sostegno per i minori, al “Dopo di noi”.

L’Emilia-Romagna: quanti siamo, come siamo e gli scenari futuri
Nel 2016 la popolazione residente in Emilia-Romagna ammonta a 4 milioni 454 mila persone - di cui il 12% non ha cittadinanza italiana - e si contraddistingue per la crescita zero,in controtendenza rispetto agli ultimi dieci anni. I dati demografici parlano di una popolazione che continua a invecchiare: i “grandi anziani”, cioè gli over 75enni, sono 560.835 e rappresentano più di una persona su dieci residenti. Le previsioni fino al 2020 ipotizzano una crescita a ritmi molto contenuti della popolazione regionale, con uno spiccato cambiamento della sua composizione, che sarà sempre più eterogenea e multiculturale: già oggi in Emilia-Romagna quasi un bambino su tre nasce da madre straniera.

Altro elemento profondamente mutato è la struttura della famiglia, la cui dimensione media si è ridotta progressivamente, passando da 2,41 componenti nel 2001 a 2,25 nel 2011. La stima è che possa ridursi ulteriormente fino 2,14 componenti al 2020. Aumentano le famiglie unipersonali, che rappresentano oltre un terzo del totale. Dall’ultimo censimento, inoltre, emerge come in Emilia-Romagna siano residenti oltre 82.100 nuclei familiari “monogenitore”, con almeno un figlio minorenne. Di questi, circa 70.550 sono composti da madri sole con bambini e ragazzi. Grava oggi sulle famiglie, strutturalmente più fragili, un impegno sempre più elevato nei compiti di cura, che si riversa particolarmente sulle donne.

La crisi ha prodotto un’ulteriore fragilità nelle famiglie e aumentato le difficoltà, soprattutto per quelle di nazionalità straniera o numerose, con presenza di minori e/o anziani. In base alla spesa per consumi, le famiglie che vivono in condizioni di povertà relativa nel 2015 rappresentano il 4,8% del totale delle famiglie residenti in regione (in Italia superano il 10%). Dai dati Istat del 2014 la percentuale di minori in Emilia-Romagna in condizione di povertà assoluta è del 9,5%, pari a 65.000, con un aumento del 4% dal 2012 al 2013.

Negli anni è emerso, infine, un crescente disagio abitativo: è aumentata sia l’incidenza sul reddito delle spese per l’abitazione, sia il numero di famiglie che incontrano difficoltà a pagare l’affitto (sfratti emessi da circa 3.500 nel 2001 a 6.800 nel 2014, di cui più del 30% per morosità), sia il numero di pignoramenti di case abitate dai proprietari.

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